… se un libro ti prende è come una droga

leggere è come drogarsiChiariamo subito una cosa: leggere è un piacere e non un dovere, almeno quando sei uscito dallo status di studente.
Gianni Rodari diceva che “il verbo leggere non sopporta l’imperativo”.
In effetti leggere non è sinonimo di studiare, anche se c’entra con l’imparare.
Pennac, nel suo famoso decalogo del lettore, cita per primo “il diritto di non leggere”.
E ci dice anche che abbiamo il diritto di leggere ovunque.
Alcune persone non possono leggere se non sono in un ambiente confortevole, riservato, silenzioso. Sono disturbate dal rumore, dalle interruzioni, da ogni minimo ostacolo alla propria concentrazione.
Altre leggono in condizioni estreme estraniandosi completamente dal mondo : cullati dal rumore del treno, in viaggio di piacere o da pendolari, oppure al parco tra urli e schiamazzi di ragazzini.
Leggono nelle sale di aspetto e nelle stanze di ospedale, o appesi ad una maniglia della metro in equilibrio precario.
Leggono smozzicando un panino seduti alla scrivania nell’intervallo, ma anche camminando per strada con il rischio di pericolose collisioni coi passanti.
La verità è che se un libro ti prende è come una droga.
Ti cattura irreparabilmente e non riesci a staccarti, con rammarico interrompi la lettura dopo avere rimandato il più possibile il momento della sospensione di questa pratica.
Così un giorno preferisci il bagno alla doccia, perché nella vasca si può leggere.
Oppure una sera fai le due di notte perché devi finire un pezzo veramente avvincente, nonostante la mattina dopo ti svegli rimbambito ma sognante, perché ti sei addormentato bene, con la testa piena della storia che stai leggendo e ancora vuota delle tue quotidiane preoccupazioni.
E viaggi con il tuo libro ovunque tu vada e qualunque cosa tu faccia, perché prima o poi troverai cinque minuti per proseguire…

Mai un libro, un cinema, una mostra. Un italiano su 5 a completo digiuno di cultura.

la cultura e gli italianiQuesto il titolo di un articolo letto nei giorni scorsi su l’Inkiesta, a firma Beniamino Andrea Piccone. L’incipit è il seguente:
“L’Istituto nazionale di statistica – Istat – ha rilevato il 2016 un anno record (conteggiando quanto l’italiano spende in cultura, dati dal 1993 al 2016) per la partecipazione culturale. In ogni caso la quota destinata alla cultura rimane sotto il 7%. Un po’ poco.
Inoltre, ciò che deve preoccupare è uno zoccolo duro di italiani, il 18,6% della popolazione, che l’anno scorso non ha mai aperto un giornale, un libro, non è mai andato al cinema o a teatro. Neanche a ballare o allo stadio. …”
Andando a vedere più in dettaglio le statistiche Istat, scopriamo che quel 18,6%, il quinto di cui si parla nel titolo, aumenta progressivamente scendendo verso l’Italia del Sud, dove arriva a sfiorare il 29% della popolazione, è donna (cosa che contraddice invece le statistiche di utilizzo della nostra piattaforma) ed abita prevalentemente nei piccoli centri.
Leggendo per intero questo articolo si avrebbero diversi spunti per dibattere su cosa fa la politica per incentivare la cultura (“votano anche loro”) e sul sempre attuale pensiero di Umberto Eco che diceva : “I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività”).
Noi di BiblioShare spesso torniamo su questi dati statistici, raccontando purtroppo sempre di scenari poco entusiasmanti. Naturalmente non possiamo fare altro che essere ancora più determinati nel nostro obiettivo di diffondere la cultura e la lettura in particolare.
Oggettivamente non è facile, e ce ne rendiamo conto proprio perché questi dati sono reali.
Continueremo a fare il punto della situazione su questo argomento perché rappresenta un punto di vista importante di come “progredisce” il nostro Paese e di quanto lavoro c’è da compiere.